L’UNDP è un agenzia delle Nazioni Unite che da anni, mettendo a disposizione la propria esperienza e le proprie risorse, promuove l’adozione di un diverso modello di sviluppo economico, che garantisca una crescita mirata ed inclusiva della produzione mondiale, sostenibile a livello ambientale e capace di arrestare il cambiamento climatico. Il 27 novembre scorso è stato pubblicato il nuovo rapporto che affronta il mutamento in atto e propone un intervento rapido ed efficace.
Dalla ratifica del protocollo di Kyoto sono passati ormai dieci anni, ma non tutti i Paesi lo hanno ratificato, e quelli che l’hanno fatto non si sono impegnati realmente, nonostante la riduzione prevista fosse esigua (solo una media del 5%). Il rapporto dell’UNDP è drastico e non pone molte alternative: le emissioni attuali sono eccessive e la riduzione necessaria sarebbe del 50% entro il 2050 (80% per i Paesi industrializzati!).
L’elemento chiave è stabilire un “bilancio del carbonio”, ovvero imporre un prezzo alle emissioni e creare un sistema di quote; è necessario introdurre una carbon tax (senza incrementare l’ammontare totale della tassazione) che renda effettivamente idea del costo sociale dell’emissione, ed utilizzare poi tali entrate per incentivare lo sviluppo di nuove tecnologie (energie rinnovabili, efficienza energetica di apparecchi e motori…).
Non è un’insufficienza tecnologica che ostacola la risoluzione del problema, quanto piuttosto la mancanza di una sincera e lungimirante volontà politica: l’evidenza scientifica della determinante responsabilità umana nel cambiamento climatico è ormai accertata e accettata, e ciò rappresenta certamente un passo in avanti, ma è ora opportuno agire al più presto. Il rapporto UNDP consiglia di istituire un “Fondo di mitigazione dei cambiamenti climatici” per stanziare 25-50 miliardi di dollari l’anno necessari a sostenere la transizione verso economie sostenibili per i Paesi in via di sviluppo. La cooperazione internazionale è fondamentale per consentire a tutti gli Stati l’accesso a servizi energetici moderni.
Un ultimo elemento importante è l’adattamento: anche nella migliore delle ipotesi, infatti, la temperatura salirebbe (già sta salendo) di circa 2°C entro pochi decenni; investire sull’adattamento è difficile per i Paesi più poveri (meno responsabili del surriscaldamento globale, ma in massima parte Paesi in cui i cambiamenti climatici si faranno più sentire!), mentre Paesi come il Regno Unito stanno già lavorando sul problema. L’UE, storicamente sensibile al tema ambientale, ha fatto altrettanto, sia pur senza tutta la solerzia che da essa ci si aspettava.
Gli investimenti si riveleranno fruttuosi se ben realizzati e se verranno attuate politiche sostenibili di lungo periodo, di valenza pluri-decennale, orientate ad un cambiamento sostanziale del modello di sviluppo economico adottato a livello mondiale, nonché della nostra mentalità di consumo.
Il Mahatma Gandhi si chiedeva quanti pianeti sarebbero stati necessari se l’India avesse seguito il modello di sviluppo inglese: oggi sappiamo che se tutto il mondo seguisse il nostro modello occidentale sarebbero necessari 9 pianeti Terra!
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