Quando leggiamo la teoria di Nordhaus, nel punto in cui considera l’elettore immemore e miope, immaginiamo che questo paradigma così negativo sia esagerato. Sorge spontaneamente la domanda “Come può un elettore non ricordare fatti politici, avvenuti pochi anni prima?” Ebbene ciò di cui parleremo e’ un esempio perfetto per capire quanto sia vera questa concezione.
In queste settimane si e’ discusso sul referendum, cui siamo chiamati a partecipare (o a non partecipare) il 21 giugno prossimo. I mass media italiani, in primis la televisione, non hanno mai toccato il suo contenuto (di questo si sono lamentati i promotori del referendum) e la maggior parte degli italiani non sa bene cosa si voterà.
Poniamoci una domanda banale: “Perché questo referendum?”. Torniamo indietro nel tempo per capire: e’ il dicembre 2005 quando il Governo Berlusconi approva in Parlamento una riforma elettorale per le elezioni nazionali di Camera e Senato. La legge verrà definita ironicamente (ma neanche tanto) porcellum o porcata, secondo le parole dello stesso ministro proponente, Calderoli. Si vota nell’aprile 2006 con la nuova legge e il governo Prodi ottiene una maggioranza precaria al Senato. Si parla di un’ennesima riforma elettorale, ma passa un altro anno (luglio 2007) prima che sia elaborata la bozza Bianco, nel frattempo si muove l’organizzazione per il referendum abrogativo. La bozza Bianco raccoglie tiepidi consensi a causa di posizioni alquanto diversificate. Finirà nel cestino in parte a causa della crisi di governo e della sua caduta. Il referendum viene intanto rinviato di un anno (febbraio 2008) perché la legge (l.352/70) impone che in caso di scioglimento anticipato delle camere debba essere rinviato, cosicché il nuovo parlamento possa intervenire. Si vota nuovamente con il porcellum, dopodiché cadiamo nel silenzio. Nessuno riprende la questione di una riforma elettorale.
Nelle ultime settimane e’ emersa la polemica riguardo la data della votazione: da una parte i sostenitori del c.d. election day, ovvero inserire il referendum nella stessa tornata elettorale delle elezioni per il Parlamento Europeo e per le amministrative, dall’altra chi si opponeva. Avrebbe permesso un risparmio di circa 400 milioni di euro, ma e’ stato bocciato dal Governo per un calcolo politico. Il Presidente del Consiglio infatti ha dovuto mediare con la Lega Nord, nettamente contraria, ed ha dovuto cedere nel posticipare la data al 21 giugno. LN riteneva incostituzionale l’election day in quanto non si può far coincidere il referendum con le elezioni politiche, dimenticando però che sul testo della legge si parla delle sole elezioni di Camera e Senato.
Vediamo ora i contenuti dei tre quesiti referendari. Il primo e il secondo producono lo stesso risultato, uno riguarda la Camera, l’altro il Senato: si elimina la possibilità di creare coalizioni di liste. Le conseguenze sono due: il premio di maggioranza (55% di seggi) va alla singola lista più votata e la soglia di sbarramento si alza (4% alla Camera e 8% al Senato), poiché non esistono più alleanze (con l’attuale legge la soglia e’ più bassa per i partiti coalizzati). Il terzo quesito esclude la possibilità di candidature multiple, quindi il candidato non può proporsi contemporaneamente in circoscrizioni diverse.
Dal momento in cui e’ stato depositato il testo del referendum però il sistema politico e’ mutato. Oggi le coalizioni sono ridotte ai minimi termini e la riduzione della frammentazione partitica, auspicata dai promotori del referendum, e’ già avvenuta: nel centro-destra FI e AN si sono unite nel PDL e l’UDC si e’ staccata dalla coalizione rimanendo così un’alleanza con Lega Nord e MPA (dal peso elettorale di appena 1%); nel centro-sinistra DS e Margherita sono confluiti nel PD apparentandosi con i Radicali, alleandosi con l’IDV. Quindi la frammentazione, soprattutto in Parlamento, si e’ ridotta notevolmente. Da questo punto di vista i due quesiti referendari sono inutili, inoltre sarebbe facile sorpassare il divieto di unirsi in coalizioni: basterebbe inglobare diverse liste in una sola e poi magari ridividersi in Parlamento.
Domandiamoci poi “L’Italia può diventare un sistema bipartitico?” e poi “Sarebbe benefico?”. Quando un Paese ha all’interno posizioni politiche diversificate non e’ idoneo forzare il sistema a ridurre la rappresentanza, dunque un sistema maggioritario puro con soli due partiti non e’ l’ideale per un Paese come il nostro.
Il terzo quesito e’ certamente positivo ma non risolve il grave problema dei candidati nominati dall’alto (c.d. liste bloccate).
Se il referendum ottenesse il quorum e passasse il Sì il Governo non avrebbe ulteriori interessi a modificare la legge elettorale e comunque il Parlamento non si discosterebbe assolutamente dal risultato referendario.
Non e’ vero che si abroga il porcellum, come ha dichiarato Franceschini, ma solo alcune norme che non mutano la sostanza, anzi si da un’ulteriore sterzata in senso maggioritario. Il partito più forte otterrebbe la maggioranza assoluta (55%) e poi potrebbe unirsi in seguito in Parlamento con altre formazioni incrementando ancora di più la sua forza.
E’ opportuno valutare attentamente le conseguenze del referendum… voglio però ricordarvi che sono passati quasi 4 anni ormai dal porcellum e, nonostante tutte le formazioni abbiano auspicato un cambiamento della legge elettorale, nessuno ha fatto nulla di concreto in questo senso.
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